La tua luce è preziosa // Le onde

Ma se il sole tramonta. Se il sole tramonta alle quattro e sorge domattina, domattina alle nove. Se le ore del giorno si accorciano e rendono preziosa la luce. D’oro. Invernale.
Se camminando verso casa non mi tengo troppo lontano dal mare. Quel mare in cui non posso tuffarmi, ma che posso guardare, finché la notte non torna a coprirci lo sguardo. Se cammino, non troppo lontano dal mare. Posso sentire rumore di onde. Onde che parlano, tremano, si stendono e contraggono su una spiaggi di pensieri distesi.
Una conchiglia per un tuo pensiero. Un granello di sabbia per una tua ciglia. Un filo d’erba da posarti sulla labbra per una tua risata. Il rumore delle onde, il solletico e la tua risata. Finché il sole tramonta. La tua luce è preziosa.

Schiuma di mare in tempesta

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Esjan

Torno a casa stasera, ostacolato da vento contrario. Scelgo la strada più difficile, la più sconsigliata in serate del genere: scelgo di camminare sulla riva del mare, di fianco alle rocce. C’è una marea imponente, delle onde che si scontrano contro gli scogli artificiali che fanno da cornice a questa parte della città, che la dividono dall’oceano, ma che poco possono contro il vento. Passo la lingua sul mio labbro superiore. Non è pioggia, è acqua salata. Il vento è talmente forte da alzare vapore dal mare. Alcune onde non toccano nemmeno gli scogli, fanno un salto in alto fino alle tue scarpe. Si bagnano i jeans e tutta la parte sinistra del corpo. Cominci a pensare di aver scelto la strada sbagliata, ma a un certo punto ti volti per guardare in faccia quello stesso mare che ti sta annegando i vestiti. Non vedi nulla, solo nero al di là del limite terrestre. Perché oltre al vapore del mare c’è anche la pioggia, quella vera, le nuvole nere, il vento, la notte. Un faro in lontananza, lo scorgi a malapena. Il resto che vedi è nero con venature bianche, strisce di colore che vanno e che vengono. Schiuma di mare in tempesta. Pensi alla vita e a tutte le sue maree, a quante cose si avvicinano e si allontanano per ritornare, come le vene bianche sulle onde. Hai pensato spesso che non vi sia ragione in questo vagare, in questo perdersi lungo la strada, come bottiglie abbandonate e sigillate portatrici di messaggi antichi e impossibili da decifrare. Il destino di ognuno scritto su un foglio di pergamena e affidato alla corrente. Qualcosa viene e va, da qualche parte il vento ci conduce con cognizione, anche nelle notti più nere e negli approdi più aspri. A volte ci viene donato un sentiero, solo perché un vento a favore si sostituisca a quella che sembra la tempesta fatale. C’è ancora corrente contraria a spingere sulla mia bottiglia, ma stasera ho scoperto un sentiero che non ero sicuro di poter percorrere. L’incrocio di due strade che gli anni non hanno mai consumato. Ritrovare un’amicizia che il tempo non ha mai scalfito, esattamente tre anni più tardi, esattamente sulla stessa via. Aspettare a volte – e fidarsi anche del male – può valere la luce di un faro in lontananza, un approdo sicuro e una tazza di caffè. Almeno per adesso, almeno per dormire bene. Poi domani il grande oceano tornerà a brontolare e questa bottiglia a farsi ammaccare. Vedo l’inverno arrivare al di là del monte Esja, un esercito di nuvole e ghiaccio pronto ad inghiottirci e seppellirci nel bianco. So che non sarò solo ad affrontare il boato del vento. So che in qualche modo ci si potrà scaldare.

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Non ci hanno mai insegnato ad arginare le maree

Lettera dal passato // 19 novembre 2015

E io che mi trovo ancora in riva al mare a cercare di capire come arrestare le maree. E io che sono rimasto da solo in città, ché mi fanno compagnia solo i rifiuti abbandonati negli angoli, le bottiglie di vetro per strada, le cartacce e le cicche. Devo essermi ubriacato una volta di troppo, essermi perso l’annuncio dell’evacuazione. Mi sono risvegliato in riva al mare, con la solita puzza di cuore avariato sul colletto. Forse ho seppellito anche una manciata di cadaveri, o si sono seppelliti da soli per lasciarmi finalmente in pace. I tuoi occhi sono ormai così lontani da essere diventati di carta, due piccoli pezzi di carta minacciati dalle onde.
Luglio si fa avanti. Luglio ci soffia contro. E continuo a pensare che non ci hanno mai insegnato ad arginare le maree.

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Un’automobile che torna dal mare

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Anche stavolta sono ricaduto dentro la tua macchina. Dio Santo, è il ricordo più banale che si possa immaginare, eppure torna sempre. Come mai? Come mai, mi chiedo, certi momenti apparentemente inutili diventano stalattiti nella caverna umida della nostra memoria, illuminata solo dalla luce eterna di qualche candela? Sei seduta alla mia destra e io ho un enorme libro in mano dalla copertina bianca e la pagine già indurite ed ingiallite di salsedine. Sto zitto. Sento il rumore dell’auto che va. Guardo la sabbia che riempie di fumo noi e le barriere di cemento che ci stanno intorno. C’è l’odore che si sentiva di solito, la spalla destra che mi brucia un po’, il rumore lontano di un videogioco. Ho un taccuino nello zaino, una penna d’argento che mi ha regalato mio nonno per firmare i miei libri. “Per firmare i tuoi libri”, diceva. Ma io l’ho prosciugata in pensieri sconnessi prima che avessi anche solo una copia da firmare. Saresti contento di me? Me lo chiedo spesso. Saresti contento? Io non lo so se ti ho mai perdonato, ma questa è tutta un’altra storia. Forse è me stesso che non ho mai perdonato. Questo ricordo, comunque, non c’entra niente col mio senso di colpa. Si tratta di me dentro quell’auto di ritorno dal mare.Leggo, leggo senza preoccuparmi di controllare che tu sia seduta alla mia destra. So che ci sei, ti sento, sei pesante come non penseresti mai di poter essere. Leggo e mi immergo in una storia e come per ogni storia cerco qualche traccia di me. Forse mi sorridi, ogni tanto. Siamo convinti che questa sarà la vita per sempre. Un’auto al tramonto che ritorna dal mare. Alzo per un secondo gli occhi e mi soffermo sui volti di chi è seduto lì con noi. “Non dimenticherò mai questo momento, questo semplicissimo, perfetto momento”, mi dico.
E non l’ho più dimenticato.